sabato, dicembre 30, 2006

Fatto fuori

Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito all’annuncio del termine di 30 giorni per l’esecuzione della pena capitale a Saddam e alla sua effettiva riuscita, all’alba della mattina appena trascorsa. Tutto consumato in pochissimo tempo e che, proprio per questo, apre una serie di interrogativi sulla fine del Rais. Oggi più che mai si levano forti cori di protesta contro la pena di morte, condannata dalla maggior parte dei Paesi europei e promossa, invece, dagli USA. Inoltre, molti parlano di forti irregolarità nel processo a Saddam che, in realtà , sarebbe stato pilotato interamente dagli americani che, da parte loro, si difendono volendo far credere di aver delegato interamente il processo alle autorità irachene.
Se Bush ha parlato di “Un atto di giustizia”, gli si può rispondere che la vera giustizia non è stata fatta in quanto Saddam era implicato in altri processi ancora aperti e sui quali non potrà mai essere fatta una vera chiarezza finio in fondo e, quindi, giustizia. Tralascio gli aspetti legati alle ripercussioni sociali dell’esecuzione in Iraq e nei Paesi mediorientali e voglio, invece, provare a capire come mai si sia voluto dare un segnale così forte e deciso.
E’ provato che gli Usa stiano attraversando una delle più dolorose e sanguinose battaglie degli ultimi trent’anni, basti pensare che, ad oggi, le vittime della guerra irachena hanno superato quelle dell’11 settembre. In un momento in cui la popolarità di Bus è in calo per i motivi sopraccitati, gli Usa, secondo me, hanno “spinto” a favore di una condanna rapida ed esemplare per dare un forte segnale a tutti sottintendendo : “Avete visto? A qualcosa la guerra è servita. Abbiamo fatto giustizia”. Ancora una volta, però, il termine giustiza è inteso diversamente da americani ed europei…

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